Non solo croci, ma le luci nella notte
Se doveste pensare alla Settimana Santa nojana cosa vi verrebbe in mente? Forse il dondolio di file di effigi, che si fanno largo fra le strade cittadine? O il camminare lento di uomini penitenti? O ancora i canti dolorosi che riempiono le strade, intervallati ad un silenzio agghiacciante che lascia spazio solo al suono gelido e metallico delle catene che strisciano sull’asfalto? A quasi nessuno, temo, verrebbe in mente di inserire ai primi posti della classifica delle immagini più emblematiche, quella delle donne. Eppure, fra le schiere di incappucciati, nel silenzio e nella preghiera, con la fioca luce di una candela sono al centro della Passione del Cristo.
Questo non dovrebbe stupirci. Gesù ha cavalcato il proprio tempo, non come un religioso ortodosso, come uomo chiuso fra le mura della sinagoga, ma come un reale sovversivo; Gesù è estremamente lontano da ‘bigottismi’ e chiusure e non solo questo ci viene testimoniato nella Scrittura, attraverso il racconto delle parabole, ma soprattutto nel ruolo cardine che ha affidato alle donne. Tra tutti i suoi apostoli, che spaventati correvano ai ripari e si premuravano di rinnegare di conoscerlo, le uniche ad avere l’audacia e la forza di stare sotto la sua croce sono le donne, le ultime ad accompagnarlo nella vita terrena e le prime a ricevere l’annuncio della risurrezione.
È il 1989, Pier Vittorio Tondelli scrive il suo ultimo capolavoro, Camere separate, un romanzo intimo, misterioso, doloroso, talmente doloroso da sentire il bisogno di collegare il dolore terribile di perdere una persona amata alla passione di Cristo. Thomas e Leo, i protagonisti, si ritrovano catapultati a Barcellona, il Venerdì Santo, in mezzo a nenie e lamenti, effigi e processioni. Il lettore nojano non farà alcuna fatica a riconoscere nei ‘Nazarenos’ descritti da Tondelli i nostri crociferi:
Erano una dozzina di Nazarenos, giovani, vestiti con le tuniche e i mantelli della processione. Alcuni avevano il capo scoperto, altri indossavano il cappuccio a cono con le fenditure per gli occhi. […] Erano scalzi e reggevano in mano grandi ceri. Attraversavano la piazza gridando e sbracciandosi. Un gruppo di bambini li inseguiva ripetendo delle litanie, un coro ritmato di richieste o di insulti o di espressioni di gioia. […]
Alcuni uomini si infilarono in fretta sotto il carro, altri ne uscirono, sudati e sfiniti. Le immagini sacre, il Cristo sulla croce, il Cristo deposto, i santi patroni, le Vergini avanzavano distanziati di una cinquantina di metri. Ogni carro preceduto dalla propria confraternita di Nazarenos. Tutti incappucciati, scalzi, con i ceri ardenti gocciolanti sulle mani inguantate.
È spiazzante riconoscere le proprie tradizioni fra le righe di un romanzo, soprattutto, quando sono descritte lontane chilometri e chilometri. Tuttavia, seppur in una così precisa descrizione, Tondelli trascura un dato interessante, la presenza femminile, che pure è attestata nelle processioni e nelle tradizioni pasquali spagnole.
A distanza di anni la storia sembra ripetersi, attraverso l’equazione: Settimana Santa = crociferi, ma la memoria della Passione di Cristo non è una cosa affidata agli uomini, che siano incappucciati o fasciati in un abito elegante, la passione di Cristo riporta in auge il dolore e il coraggio di quelle donne, che sotto la croce non hanno voluto scappare, che lo hanno scelto anche a discapito della loro stessa vita.
Certo, alla mente saranno subito tornate le file di donne vestite di nero, con un velo di pizzo nero a celarne il capo, che con passo lento seguono la via del dolore rappresentata nelle effigi sacre.
Eppure, la storia di queste donne parte da lontano. Innanzitutto, dobbiamo operare una prima distinzione: quelle che in gergo comune vengono chiamate indistintamente ‘consorelle’, non si ritrovano tutte sotto la stessa nomenclatura; propriamente le ‘consorelle’ sono coloro che accompagnano le processioni della Naca e dei Misteri, afferenti al Terz’Ordine Agostiniano Femminile, mentre coloro che accompagnano la processione notturna dell’Addolorata fanno parte dell’Associazione delle Spose e Madri Cristiane, nata sotto questo nome il 24 febbraio 1921, proprio nel periodo che sta a cavallo fra i due grandi conflitti mondiali, che hanno macchiato di sangue l’occidente del mondo. Questo non è un caso. Da sempre, nel corso della storia, le donne nei periodi di guerra si sono assunte il ruolo di paciere e di ricostruttrici di rovine; ce lo ricorda Aristofane nella paradossale vicenda di Lisistrata (commedia rappresentata ad Atene nelle Lenee del 411 a.C.), ce lo ricordano le donne sotto la croce di Gesù e ce lo ricorda la vicenda delle donne nojane del primo dopoguerra. Il resoconto del primo conflitto mondiale fu doloroso per la cittadina di Noicàttaro, che perse nei conflitti 120 giovani soldati. Il desiderio della pace era unanime nella popolazione, che nella guerra vedeva morire figli e mariti e le apparizioni della Madonna del Rito lasciavano presagire un incoraggiante futuro di pace. È in questi anni che si colloca la nascita dell’associazione delle Spose e Madri Cristiane, incentivata da un giovane Arciprete, Giacomo Lioce, con l’obiettivo di potenziare il culto della Vergine Maria Addolorata, la cui processione veniva trasferita da settembre all’alba del Venerdì Santo.
La Pia Unione, che ebbe come prima presidente Giovanna Maria Latrofa, era aperta a tutte le donne sposate o vedove, con o senza figli, ricche o povere, essendo un’associazione non di dame, ma di madri cristiane. È emblematico che in questo periodo storico le donne non sentissero più la necessità di distinguersi a seconda del proprio status sociale, ma che si collocassero insieme dalla stessa parte, abbienti e povere, con l’obiettivo comune di ricostruire la propria vita e quella dei figli, distrutte della disperazione, dalla morte e della povertà, tutte condizioni di cui si fanno portatrici le guerre di ogni tempo.
Lo statuto, recentemente rinnovato, è composto da 25 articoli, volti regolare sia lo stile di vita delle associate, che la loro partecipazione alla processione dell’Addolorata. Ad esempio, l’articolo 20 regola l’ordine della processione, raccomandando che le più anziane iscritte seguano le più giovani, mentre l’articolo successivo, il 21, sollecita all’utilizzo di abiti poco sfarzosi e privi di ornamenti di lusso sia durante la processione, che nelle assemblee; si tratta, con molta probabilità, di un tentativo di azzerare le differenze di carattere economico, che vista la trasversalità associativa, sarebbero potute emergere: insomma, un atto di delicata comunione.
L’archivio della Parrocchia Santa Maria della Pace conserva il registro delle iscrizioni assieme a quello delle adunanze, che a partire dal 1967 sono continuamente redatti. Proprio da quest’ultimo emergono delle riflessioni profonde alle quali sono state chiamate le Madri Cristiane nel corso degli anni, che le rendono attive protagoniste anche della storia civile. Nel 1976 vennero invitate ad una riflessione sul tema dell’aborto, in virtù della legge 194 che venne approvata due anni dopo; nel 1985 la riflessione si sposta sul fronte della pace, distrutta dalle esperienze terroristiche.
Quella delle donne cristiane, è dunque un’esperienza che nasce a partire da un’emergenza sociale, trova il suo spazio nel tessuto laico parrocchiale, ma non si esaurisce all’interno della parrocchia, al contrario si preoccupa di camminare nel mondo mantenendo la propria vocazione.
Merito di interesse è il fatto che alla prima associazione femminile si accostò quella maschile solo nel 1976, con il nome di ‘Associazione dei Padri Cristiani’, sotto la spinta di frate Michelangelo da Cavallana. Sulle prime nasce con l’invito rivolto ai mariti delle Madri Cristiane di prendere parte più attivamente alla vita parrocchiale, uniti alla protezione della Vergine Addolorata.
L’associazione delle Spose e Madri Cristiane non fu l’unica organizzazione femminile che si proponeva di gettare le basi per la ricostruzione di un futuro migliore sul territorio nojano; negli stessi anni, infatti, nasceva, sempre per mano delle donne, l’Azione Cattolica (la cui presenza è attestata nella parrocchia di Santa Maria della Pace a partire dal 12 dicembre 1929), che guidata dalla vocazione educativa si occupa già a partire da quegli anni della formazione di piccoli e grandi.
Dunque, per quanto spesso relegate ad un ruolo marginale, le donne sono protagoniste e custodi della Passione del Cristo morto e risorto e con mestizia partecipano al dolore di Maria, ne ripercorrono i passi nel silenzio austero della notte, nel buio che anticipa i primi bagliori di luce, che lasciano presagire il gusto della risurrezione.