I rituali nojani del fuoco

 I rituali nojani del fuoco

La Regione Puglia, al fine di promuovere un calendario annuale delle manifestazioni storiche sui rituali legati al fuoco, istituiva nel 2018 con legge n. 1, di cui il regolamento attuativo n. 8 del 2019, un Registro Regionale. A tal fine anche per la città di Noicàttaro, considerando che nei rituali sono coinvolti nell’organizzazione una pluralità di soggetti, si provvedeva a chiederne l’iscrizione che è stata concessa il 30 aprile 2021 con atto dirigenziale n. 69 pubblicato sul BURP.

La manifestazione che prende il nome di “Rituali Nojani del Fuoco” abbraccia una serie di appuntamenti che iniziano in concomitanza della festa di San Giuseppe e trovano l’apice nella Pasqua, formando un circuito celebrativo che si rinnova annualmente.

I FALÒ DI SAN GIUSEPPE

Con la ricorrenza della festa di San Giuseppe ci si raccoglie intorno ai fuochi per inaugurare e propiziare la stagione nuova della Primavera. Lo storico Tagarelli ricorda la seguente ritualità: “Nella giornata di San Giuseppe, si solevano, numerosi e spettacolari, accendere – i fuochi – all’imbrunire sulle pubbliche vie di tutto il paese, finchè le stesse non furono bitumate. Il fuoco per San Giuseppe ricordava indubbiamente quello che fu negato al Patriarca, l’algida notte della Santa Nascita; quello invece per l’Annunziata significava la Purificazione. Ed anche per questo rito valeva la gara; le fanove raccoglievano legna da ogni casa e … a chi più ne metteva! … Attorno ai fuochi si radunava la gente, seduta “e vanghtiedd”, a recitarsi il Rosario ed a propiziarsi la primavera, sbocconcellando biscotti e focacce. In molte case private si allestivano altarini, con candidi panni ricamati, con fiori (le violacciocche – i fiori di San Giuseppe), e ceri accesi ed un quadro del Santo. Queste case diventavano meta di pellegrinaggi e visitatori”.

I FUOCHI PASQUALI

Il circuito dei rituali nojani del fuoco inizia con i falò di San Giuseppe e culmina con la Pasqua la cui massima espressione avviene con lo svolgimento della grande Settimana Santa. Col tempo, sia a causa della mutata configurazione urbana della città ed in particolare con la trasformazione della pubblica piazza che rappresentava il vero cuore pulsante della città e sia a seguito della riforma liturgica dei riti pasquali, l’epicentro celebrativo e la stessa struttura rituale ha subito dei cambiamenti confermando però sempre il primato riservato agli eventi pasquali. Possiamo in tal modo riconoscere due momenti suggestivi legati ai suddetti rituali:

 IL GRANDE FUOCO

Attualmente è l’evento più aggregante. Allestito dalla Confraternita della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo, sul piazzale antistante cella Chiesa Madonna della Lama con il concorso di privati cittadini che contribuiscono nella fornitura della legna da ardere, è solennemente acceso il Giovedì Santo con la presenza delle autorità civili e religiose. In passato invece quando il fulcro celebrativo dei riti pasquali era presso l’antica Chiesa del Soccorso, abbattuta negli anni settanta del secolo scorso, il fuoco era acceso sulla pubblica piazza, allora né mattonata e né asfaltata – secondo la testimonianza dello storico Tagarelli, – e doveva ardere per tutta la notte a simboleggiare il fuoco del pretorio di Pilato. In seguito per esigenze pratiche legate alla necessità d’illuminare e di riscaldare, specialmente durante la notte, la solennità del grande fuoco venne trasferita presso la Chiesa della Lama.

I PICCOLI FUOCHI

Sono di più modeste dimensioni, allestiti ed accesi da privati cittadini per accogliere i visitatori che accorrono numerosi nella notte della passione del venerdì santo. I crocicchi del centro storico si animano di tanti punti luce ritornando a far pulsare quel cuore che continua a rappresentare l’habitat più naturale per cogliere il valore ed il significato dei rituali nojani del fuoco. Si formano tanti piccoli bivacchi dove nell’attesa della processione notturna della Vergine Addolorata si raccontano storie ed aneddoti oltre che vi è la possibilità di degustare alcuni prodotti tipici della tradizione gastronomica nojana.

SIGNIFICATI E SEGNI DEI RITUALI LEGATI AL FUOCO

I rituali vanno letti in una continuità simbolica che li lega tra di loro. Il significato primigenio proviene dalla società contadina. I fuochi sono il simbolo dei processi di trasformazione, del cambiamento e purificazione di materia grezza, sono un importante simbolo alchemico connesso con la trasmutazione e la sublimazione. Con la tradizione cristiana il fuoco diviene il simbolo dello Spirito Santo” quale forza creatrice che purifica e rinnova, brucia ogni umana miseria, ogni egoismo, ogni peccato, trasforma interiormente, rigenera e rende capaci di amare.

Il LOGO DEI RITUALI NOJANI DEL FUOCO

Gli alunni dell’Istituto Tecnico ad indirizzo grafico “Alpi Montale” di Rutigliano in un laboratorio di alternanza scuola lavoro nel 2018, guidati dal docente Luigi Corinna hanno elaborato l’immagine di un prisma che mette in evidenza da una parte la preziosità della tradizione dei fuochi, che come un diamante della comunità nojana, ha saputo resistere nel tempo alle numerose vicende storiche, dall’altra parte dice anche, all’intera comunità, che la diversità è sempre una ricchezza quando si impara a collaborare così come avviene con il raggio di luce che passando attraverso un prisma si scompone in diversi colori. Dall’unica fiamma sono generate altre nuove fiammelle che generano la forza di una comunità che è sempre in cammino e mai statica . La fiamma che arde racconta la custodia creativa di una tradizione capace di dialogare con le sfide del tempo presente. Il logo pertanto richiama ad una comunità che attraverso i suoi rituali intende rigenerarsi e superare i momenti più difficili della propria storia solo se assume la capacità di saper mettere insieme non solo la catasta di legna da ardere ma anche le risorse e le competenze di ognuno senza mai lasciare indietro nessuno.

  • I SEGNI DELLA TRADIZIONE

Legati ai fuochi ci sono alcuni segni che conferiscono un valore aggiunto all’intera manifestazione:

    • “ U-CU-CNIEDD”

La tradizione vuole che durante i fuochi di San Giuseppe si usasse rinnovare un rituale nel quale un anziano signore con un ragazzo, entrambi vestiti con l’abito del Santo e del Bambinello, si recavano in Chiesa Madre a chiedere la benedizione del Parroco e cercare cibo da cuocere ai falò. Con questa raccolta si soccorrevano i più bisognosi. In quel giorno infatti accanto all’obbligo di santificare la festa con la partecipazione all’eucarestia vie ra pure quello di assistere una famiglia indigente. Le famiglie in tale occasione preparavano “U-CU-C-NIEDD”, si trattava di una cucina povera formata dai residui crudi, raccolti dalle dispense o dalle botteghe, di legumi o pasta avanzata, che si faceva cuocere insieme nel falò dentro un paiolo chiamato in gergo “LA CALAREDD”. Un pasto povero per gli Ingredienti di cottura diveniva un pasto ricco per tutti laddove si era capaci di trasformare gli avanzi in fonte di benessere per tutti, affinché nessuno venisse lasciato solo nella propria indigenza.

    • “U STÙOZZ”

È il tizzone che nella tradizione rappresenta un prezioso dono da cui poter moltiplicare il focolaio. Famosa è la leggenda di san Giuseppe che, trovandosi la sua sposa Maria in attesa di partorire, cercava il fuoco per poterla scaldare. Lo trovò acceso nel bivacco di alcuni pastori che pernottavano all’aperto facendo la guardia al loro gregge. Il prodigio narra che il Santo patriarca, portando i tizzoni ardenti avvolti nel mantello, questo non si bruciò. Il segno del tizzone rappresenta la continuità dei fuochi: quelli di San Giuseppe si conservano per i fuochi di Pasqua. Un’altra leggenda prettamente nojana, narra che San Giuseppe vestito da boscaiolo si rivolgeva all’albero dopo averne reciso i rami con queste parole. “Tu sarai benedetto ed i tuoi rami porteranno frutti abbondanti”. In primavera i giovani rami di quegl’alberi si ricoprivano come per miracolo di candidi fiori di mandorlo, la coltura benedetta di San Giuseppe. Nel deporre poi sulla catasta da ardere un ceppo o un rametto d’albero messo da parte per l’occasione si pronunciava questa frase: “fama mm.n’ nu sùozz, ca vonn app-z-k” che significa “fammi gettare un tizzone, affinchè possa attecchire”. Ed ancora si narra che alcuni, alla fine della serata dei falò di San Giuseppe, si preoccupavano di prendere un tizzone, non completamente bruciato, chiamato “u stùozz d San G-sépp”, per esporlo durante l’anno sul balcone di casa come protezione dai temporali.