Tra Crociferi e Nazarenos, Noja e Siviglia

 Tra Crociferi e Nazarenos, Noja e Siviglia

Da qualche anno impazza sui social un nuovo trend, quello della condivisione dei riti tradizionali della Settimana Santa: crociferi, perdoni, nazarenos, simulacri del Cristo morto o della Madre Addolorata invadono l’algoritmo dei nostri smartphone e si insinuano al posto dei video sui gattini o di quelli di ricette. Sì, perché sebbene questi riti tradizionali nascano dalla fede più profonda, oggi uniscono tutti, credenti e non credenti, legati da un unico fil rouge, quello del riconoscersi parte di qualcosa di arcano, di più grande.

Alla pubblicazione dei video è legato un altro fenomeno, quello dei commenti, che delineano i caratteri di una vera e propria lotta fratricida che si consuma tra le tradizioni del nord e del sud, per accentuarsi proprio nella nostra bella Puglia. Terra di mare, di sole, di panzerotti e pasticciotti, la nostra amata Puglia conserva alcune tra le più monumentali tradizioni legate alla Passione di Cristo.

Tuttavia, basterebbe aggiornare il feed solo un paio di volte per scoprire che questa lotta fratricida tra le tradizioni più commoventi e significative forse vanta delle origini comuni e spesso molto lontane.

È il 1540 quando a Noja viene istituito in Chiesa Madre dal casato ‘Iacobino’ il beneficio a Santa Maria della Pietà. Nello stesso anno a Siviglia, in Spagna, si vanno definendo i riti della Settimana Santa, che ancora oggi catalizzano l’attenzione di spagnoli e no.

È una singolare coincidenza quella che vede nel medesimo anno l’introduzione del culto mariano dell’Addolorata in territorio nojano e le prime manifestazioni normate della Settimana Santa a Siviglia, infatti, ad un’analisi più accorta quella che sembra una coincidenza qualsiasi si rivela una vera e propria contaminazione.

I riti legati alla Passione di Cristo dilagano in tutto il vecchio continente cattolico durante l’arco del medioevo, periodo per decenni demonizzato dall’influenza illuminista, ma rivalutato sotto molti aspetti a partire dall’Ottocento fino ai giorni nostri. Oltre alla nascita dei borghi e delle meravigliose città, il medioevo è stato probabilmente il primo grande periodo prolifico per la nascita dell’arte sacra, che in questi secoli si codifica, richiama a sé artisti e artigiani; per non dimenticare la nascita della lingua volgare, genitrice del nostro italiano, attestata, in una delle primissime manifestazioni, nelle mani di un santo cattolico, Francesco d’Assisi. Insomma, tra crociate e tristi versamenti di sangue che porterebbero a demonizzarlo, il medioevo si rivela come un periodo di grande fioritura artistica e culturale, veicolata anche da un nuovo linguaggio di preghiera: il pellegrinaggio.

Le chiese meta di pellegrinaggio si fanno più grandi e maestose per accogliere i pellegrini e in un mondo che sempre più perde l’uso e la conoscenza della lingua latina, utilizzata dalla Chiesa per troppi anni, si sperimenta un nuovo metodo per veicolare la conoscenza, quello dell’immagine. Gli affreschi medievali sono la Bibbia dei semplici, il modo più agevole perché il cristiano e il cristiano pellegrino potessero conoscere la storia di Cristo e del luogo nel quale si recavano. In questo clima di grande fioritura nasce e si codifica come estremamente sentito il culto per la Passione di Cristo. Il continuo proliferare di reliquie della croce, dei chiodi, della corona di spine provenienti dalla Terra Santa portano i credenti alla necessità di manifestare con il linguaggio del popolo tutta la venerazione nei confronti dei dolori che Cristo patì sulla croce.

In questi anni le città del Mediterraneo condividono questo bisogno e nei vari pellegrinaggi i pellegrini scoprono tradizioni lontane, che in qualche modo interiorizzano per riadattarle alla propria realtà una volta tornati a casa. Con il passare dei secoli, questi riti si sono perpetrati, rielaborati e in moltissimi casi risentono di un’evidente contaminazione.

Quello che la leggenda ci tramanda è estremamente connesso a questa realtà fatta di storia, pellegrinaggi, contaminazioni e riscritture.

È risaputo che l’Italia nel medioevo fosse frammentata più che mai, nave sanza nocchiere in gran tempesta, l’ha definita Dante nel VI del Purgatorio, infatti, per parlare di vera unità dobbiamo aspettare gli anni Sessanta dell’Ottocento. Nel Cinquecento la situazione non era cambiata di molto rispetto a Dante, il Sud Italia si trovava in balia di un grande dominatore, la Spagna. È inevitabile che l’influsso della dominazione spagnola abbia in qualche modo permeato il sostrato delle tradizioni pasquali nojane.

Un’antica leggenda narra che un signore spagnolo mandato a Noicattaro in rappresentanza del governo di Spagna nel Sud Italia, non volendo venir meno alle tradizioni pasquali che era solito onorare nella sua città, indossò un saio nero con un cappuccio a punta e, fattasi una croce in legno, se la caricò sulle spalle per fare il giro di tutte le chiese.

La leggenda che sembra dare i natali al tradizionale ‘giro dei sepolcri’, che oggi compiono i crociferi nella notte del Giovedì Santo, trova un riscontro storico, ancora una volta nella città di Siviglia di cui abbiamo parlato poco fa. A guardarli, i nazarenos -così sono chiamati coloro che accompagnano le processioni sivigliane – somigliano davvero tanto alla descrizione del signore spagnolo e ancor più ai nostri crociferi. Anche i nazarenos vestono un saio, che presenta diverse colorazioni a seconda della confraternita che lo veste, indossano un cappuccio a punta, il capriote, ma a differenza di quello dei crociferi, è tenuto dritto da un supporto, che evita che ricada dietro il capo. Un elemento di distanza, che però ha origini più recenti, è la possibilità delle donne di far parte dei nazarenos, non che l’elemento femminile sia mai stato trascurato a Siviglia. Tradizionalmente, infatti, le dame iberiche che accompagnano i simulacri vestono la mantiglia, una sorta di velo in pizzo, che ricopre il capo e le spalle delle donne, sormontato dalla peineta, un pettine che consente di fissarlo ai capelli; lo scialle, indossato già da Isabella II di Spagna, deve scendere dietro le spalle e arrivare fino alle mani. Queste donne si contraddistinguono per la singolare eleganza con la quale accompagnano le processioni. Nella mantiglia e nelle sue indossatrici è facile individuare le nostre Spose e Madri Cristiane e le Consorelle del Terz’Ordine Agostiniano Femminile.

Le confraternite e le associazioni direttamente impegnate nei riti tradizionali sivigliani sono circa settanta e la loro partecipazione è un rito che si ripropone di generazione in generazione, tanto che la vestizione dei nazarenos avviene proprio in famiglia, a sottolineare il legame che c’è tra fede e tradizione.

La Settimana Santa è l’evento cardine attorno al quale si riuniscono le comunità cittadine di mezzo mondo, non tutti vi partecipano per fede, qualcuno lo fa per tradizione, altri amano stare in disparte a coglierne i dettagli e le sbavature, altri ancora si sentono chiamati alla vita cittadina e comunitaria solo in questo particolare momento dell’anno. Tutti però condividono qualcosa -oltre ai post sui social- il sentirsi parte di qualcosa da onorare e proteggere, da esaltare e innalzare. Abbiamo ancora bisogno di qualcosa di sacro, di arcano, di inspiegabile, che ci fa tacere davanti a un simulacro che ondeggia nel buio, abbiamo bisogno dello strascicare metallico delle catene per sentire le stesse emozioni che ci rigano le guance dopo la notte insonne, abbiamo bisogno di una settimana che, con mille difficoltà e polemiche, torna antica e solenne a ricordarci da dove veniamo.